COLTIVARE LE CITTA'

<

Campagne di Città

 

Metà della popolazione mondiale ormai vive in centri urbani e si stima che entro la metà del secolo più dei due terzi dell'umanità vivrà in un continuum urbano rurale, luoghi ibridi che non sono più urbani ma neppure rurali.” L’intero pianeta si sta trasformando in un’immensa meta città che si fa mondo. La città, che nel Settecento ed ancora nell'Ottocento, racchiusa com'era dalle mura, si ergeva sul livello della campagna e ne era nettamente separata, è divenuta ora un organismo diffuso il cui limite è sempre meno percepibile. Una globalizzazione territoriale che riduce ad unicum un paesaggio fatto di memorie, storie, vissuti, diversità come fosse un territorio di attraversamento senza più soste, senza più segni di identità. Risulta per questo di grande interesse lo studio degli effetti prodotti dalle dinamiche di trasformazione degli spazi periurbani o le sue potenzialità ecologiche inespresse. I territori della periurbanità conservano spesso caratteri di forte naturalità che assumono valore strategico proprio per la loro vicinanza ai tessuti edificati della città. Gilles Clément nel suo saggio “Manifesto del terzo paesaggio” parla appunto delle potenzialità ecologiche espresse dalle friches, i territori residuali (délaissé) e incolti, ormai abbandonati dalle attività dell’uomo, o mai sfruttati ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica.“La friche, uno spazio concetto, propone una forma di biodiversità che nasce dalla trascuratezza e dall’abbandono. Sono le aree dismesse dove crescono rovi e sterpaglie, sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall'assenza di attività umana, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica. Anche la campagna, quella che circonda le città, è colta sempre più come espansione di una città che così diventa sempre più periferica e con una ruralità diventata urbanizzata. Sono stati per questo coniati termini come disurbanamento  e “rurbanizzazione”, che dovrebbero indurci a ritenere superata la vecchia distinzione  tra città e campagna, tra aree urbane e aree rurali ed utilizzare espressioni ibride come “campagne urbane”. “La città è ovunque; quindi non vi è più città” (Cacciari, 2004). Nascono così paesaggi in cui si vanno delineando nuove ecologie portatrici di proposte inedite di sostenibilità e di nuove forme di spazialità. Le aree urbane sono poi solitamente più calde di alcuni gradi e  per questo le parti coltivate divengono importanti, a loro volta, per abbassare e bilanciare il clima. Tuttavia anche se in anni recenti, l’agricoltura urbana è stata presentata come una «soluzione innovativa», ci si dimentica che i nostri nonni coltivavano i Giardini della Vittoria per integrare le razioni degli anni di guerra e parchi storici come il Common di Bristol erano utilizzati per nutrire le pecore. Nelle città africane e asiatiche la popolazione più povera riesce a procurarsi da vivere, coltivando piccoli angoli di terra, allevando polli e ricorrendo ai saperi appresi dalla campagna. L’agricoltura urbana in realtà è ed è sempre stata parte integrante della città. Nutrire le grandi megalopoli del futuro è una sfida enorme e non è un caso che la FAO spenda grandi risorse in programmi di agricoltura urbana. L’ansia di produrre di più a costi inferiori ha reso però fragile la catena alimentare, esponendola al rischio di contaminazioni e manipolazioni. Non solo: la macchina creata per generare abbondanza e liberarci dal bisogno sta schiacciando i principali depositari della sapienza agricola, i piccoli contadini, che pagano il tributo più alto al potere del mercato globale. Di contro le crisi, a partire da quella ambientale per finire con quella economica, hanno spinto molte persone a recuperare sensazioni e saperi perduti. Nell’agricoltura urbana si vanno delineando così indizi di nuove ecologie tra territorio e società, in parte dipendenti dalla cultura urbana e da quella rurale, ma per molti aspetti portatrici di nuove  proposte di sostenibilità e di nuove forme di spazialità urbana. Teorico di questo nuovo sentire , che con il nome di Agripolia ha l’intento di portare le coltivazioni agricole nei centri urbani,  è Pierre Donadieu autore del saggio “Campagne urbane”. Si tratta di una proposta agriurbanistica che si fonda su cinque principi. Valori sociali intangibili: libertà, uguaglianza dei diritti, solidarietà, democrazia. Glocalismo: globalizzazione e localizzazione regionale delle politiche urbane. Autonomia alimentare di prodotti freschi: per mezzo di agricolture di prossimità. Multifunzionalità dello spazio urbano non costruito. Governance territoriale e partecipazione degli abitanti. Oggi nelle aree cittadine d’Italia, si coltivano quasi 2 milioni di ettari e cresce il sostegno delle amministrazioni comunali al «city farming» riuscendo ad offrire  così un aiuto alle famiglie e sottraendo all’incuria e al degrado i terreni incolti. Gli orti urbani da hobby del fine settimana sono diventate una pratica quotidiana per superare la crisi. A Roma, terra di orti, come testimonia la presenza dell’antica Università degli Ortolani e la mappa del Nolli del 1748 che riporta orti dentro e fuori le mura rimasti fino ai giorni nostri, Zappata Romana  dato vita all’Hortus Urbis un progetto didattico sperimentale di difesa della biodiversità . Conterrà una selezione di piante utilizzate ai tempi dell’antica Roma. Circa settanta le varietà fra quelle utilizzate per usi alimentari, medicinali, ornamentali, selezionate fra quelle citate da Columella, Plinio il Vecchio, Catone, Virgilio e le preziose scoperte degli scavi di Pompei. Sempre a Roma, attraverso il portale di crowdfunding per una progettazione sostenibile, la cooperativa sociale Ora d’Aria, fondata da persone libere e recluse, ha proposto di far produrre alle detenute di Rebibbia una nuova linea di vasi per orticultura e giardinaggio urbano,destinata a tutti quei cittadini che vogliono avere un orto sul proprio balcone o terrazzo. Nell’area metropolitana di Monaco di Baviera, il progetto Agropolis - Agricoltura per la città di domani, sviluppato da un team interdisciplinare di architetti, urbanisti e paesaggisti si propone di introdurre l’agricoltura urbana nella regione metropolitana, promuovendo reti regionali verdi. La sperimentazione verrà condotta nell’area di Freiham (20.000 abitanti futuri) e costituirà materia di  studio per lo sviluppo di futuri processi di trasformazione urbano-rurale. L’urbanizzazione comprenderà strutture e funzioni sia dei processi rurali che di quelli urbani. Assieme a diverse pratiche agricole come la rotazione delle colture, dei prati, dei pascoli,  degli orti, e dei frutteti introdurrà la coltivazione agricola in balconi, case, giardini, parchi e giardini comunali. E’ stato notato che la pratica dell’agricoltura urbana, grazie alla qualità della vita ed al valore ricreativo che offre, attira visitatori e utenti e costituisce, in termini economici, un valore aggiunto per tutta la città. A Monaco, già città sostenibile per le politiche energetiche, verrà aggiunto il marchio di Agropolis, progredendo così sempre di più verso la sostenibilità.

Si chiama UFU, Urban Farm Unit, l’invenzione dell’architetto Damien Chivialle  presente in alcune realizzazioni a Parigi, Zurigo, Berlino e Bruxelle che sfruttando la modalità di coltivazione acquaponica permette di coltivare ortaggi in qualsiasi luogo della città. Si tratta di un container con installata sopra una serra. L'acqua circola all’interno della struttura in una sorta di ciclo chiuso: gli escrementi dei pesci vengono degradati da popolazioni batteriche contenute in uno speciale bacino di depurazione e trasformati in nutrienti per le piante. L’acqua residua della coltivazione torna poi alle vasche di allevamento dove ricomincerà il suo ciclo. Durante il procedimento si produce l’energia necessaria ad alimentare l’UFU recuperando dal bacino di depurazione il metano prodotto dall’azione dei batteri e riutilizzato per alimentare un generatore.

Rivendica modalità altre di utilizzare la città, che vadano oltre quelle usualmente stabilite e lo fa attraverso il libro La Ciudad Jubilada (La Città dei Pensionati), l’architetto Pau Faus.

Si tratta di una ricerca sugli orti urbani che descrive il fenomeno di autogestione ed il contrasto tra le idee degli urbanisti delle municipalità e quelle dei cittadini. Nella periferia di Barcellona, un gruppo di pensionati ha ricavato orti da fazzoletti di terra abbandonati. Ciò che rende questa storia meritevole di essere raccontata non è il fatto che coltivino senza scopo di lucro , regalando tutto ciò che raccolgono , quanto che nonostante il divieto della municipalità,  si siano costruiti i loro orti ai piedi di rotatorie in circonvallazioni, sotto pali dell’alta tensione, a pochi metri dalle rotaie del treno od in margini imprecisi di  terreni bagnati dall’ultimo braccio dei fiumi che delimitano Barcellona .

Nell’ambito del progetto Eu’GoEuropean Urban Gardens Otesha (Il termine otesha è swahili e significa “una ragione per sognare”) si è svolto a Potsdam, in Germania, il primo di una serie di incontri su orti e giardini condivisi in Europa.  La partecipazione di molti paesi ha consentito lo scambio di esperienze tecnico-operative ma anche di analisi degli impatti sociali che questo fenomeno sta producendo un po’ ovunque. Ne è uscito che la motivazione determinante del dedicarsi all’orto è data dalla necessità di fare comunità e di ricercare nuove relazioni di solidarietà e partecipazione. La povertà che stiamo vivendo non è solo economica ma anche di valori e di coscienze. Sono ormai in molti a pensare che il coltivare un orto possa assurgere a simbolo di una lotta contro le multinazionali o gli interessi della speculazione edilizia. La coltivazione dell’ orto permette di ritornare alle proprie radici sentendosi parte di una rete più grande che rifiuta il modello del consumatore passivo impostoci negli ultimi decenni. E’ una nuova sensibilità che si sta diffondendo in tutte le fasce di reddito, sempre più colpite dalla crisi e dal pensiero che il modello di società capitalista a cui siamo sottoposti possa non funzionare. Esiste ormai un vasto movimento che presenta volti diversi: dalle occupazioni degli orti urbani ai Gruppi di Acquisto Solidale, che non solo condivide un’idea diversa di agricoltura, ma anche di tutela dell’ambiente. Un libro recente, Apocalypse Town dell’urbanista Alessandro Coppola, mostra come città americane in fase di deindustrializzazione, da Youngstown a Detroit a certe parti di New York si siano reinventate nell’uso dello spazio urbano, di cui gli orti del Lower East Side di Manhattan sono l’esempio più conosciuto. Vancouver  una delle città più grandi del Canada (620 mila abitanti) è anche conosciuta come la città degli orti urbani. Ospita  infatti circa trenta «fattorie urbane», piccole iniziative che coltivano prodotti alimentari per poi venderli, all’interno dei confini della città. Mentre diminuiscono le fattorie in tutto il Canada, sta crescendo il numero di quelle in città. Di fronte all’invecchiamento degli agricoltori canadesi sta invece emergendo una generazione di contadini urbani, tra i venti e poco più di trenta anni, con nessuna tradizione contadina alle spalle, senza terra e capitali ma con la voglia di sperimentare qualunque coltura e in qualunque posto. Per la maggior parte utilizzano una pluralità di lotti di bassa qualità attraverso accordi con proprietari di terreni che li sostengono in cambio di una parte del raccolto. Le città sono diventate degli incubatori per gli agricoltori urbani che possono contare anche su opportunità addizionali di reddito non agricolo e sostegno sociale.

A Todmorden, un comune dell’Inghiliterra, gli abitanti coltivano i propri ortaggi in ogni luogo pubblico che lo permetta con l’obiettivo di diventare completamente autosufficienti nel giro di pochi anni. Il progetto si chiama Incredible Edible (incredibilmente commestibile) e si prefigge di rendere Todmorden autosufficiente per frutta e verdura entro il 2018. Quel che colpisce di più, è l’armonia con cui il progetto procede, nessuno raccoglie più di quanto gli è necessario e le aiuole sono ovunque anche in luoghi insoliti come davanti alla stazione di polizia, al comune, o addirittura nel cimitero. Incredible Edible è anche un progetto di educazione alimentare , sono infatti attivi diversi corsi e lezioni sull’orticoltura e su come conservare i raccolti. L’iniziativa ha sicuramente fatto notizia ed in Inghilterra sono gia 21 i comuni che stanno iniziando a sperimentare dei progetti di questo tipo. Londra ricca di verde e di parchi, ha voluto lanciare una nuova iniziativa: quella dei “parchi tascabili”:.I ‘Pocket Parks‘. Non più grandi di un campo da tennis  sorgono con l’obiettivo di migliorare alcune aree compromesse dallo sviluppo urbano. Conterranno spazi per far giocare i bambini, zone di relax, attrazioni e vasti angoli per le coltivazioni bio di frutta e verdura e per la raccolta dell’acqua piovana. Nonostante l’inquinamento e il paesaggio urbano  possa sembrarci poco adatto , si sta facendo invece strada la cosiddetta 'apicoltura di città'. Sono davvero tanti i posti dedicati alla produzione di miele: dai balconi di Londra ai grattacieli di New York. C’è anche un miele pregiato prodotto negli alveari posti sui tetti del Grand Palais di Parigi. Dal 2010, quando l’amministrazione di New York ha eliminato il bando all’allevamento delle api da miele si calcola che sui tetti newyorchesi siano state installate oltre quattrocento arnie. Si contano ormai una ventina di club ufficiali di apicoltura e lo scorso settembre 2013 si è anche tenuto il New York City Honey Festival .Proprio il Brooklyn Grange, il più grande giardino pensile di New York ospita la maggiore installazione cittadina di arnie e grazie anche a un programma di crowdfunding è anche stato avviato un progetto per la selezione genetica di api adatte all’ambiente urbano di New York. In Italia, invece, esistono le cosiddette 'città del miele' dove la qualità della vita è misurata proprio dalla presenza delle api, preziose perché contribuiscono a difendere la biodiversità, favorendo l’impollinazione e quindi la sopravvivenza delle numerose specie vegetali che vivono nella città. Per concludere possiamo dire che in una società in cui urbano e rurale sembrano sempre più confondersi, credo sia importante costruire i nuovi ambiti a partire da quegli spazi di natura nei quali l’agricoltura non solo è viva, ma si rinnova . Occorre per questo creare ambiti adatti a soddisfare i bisogni dei cittadini, sia per le produzioni alimentari che le attività di tempo libero perché  possano costituire l’agora di una società multiculturale. Nel riscoprire il Genius Loci, senza idolatrare le radici ed escludere lo straniero, dobbiamo tenere a mente che l’identità si costituisce nella diversità e l’ospitalità è più antica di ogni frontiera. Le campagne urbane ben si prestano ad accogliere l’arrivo di migranti, per inserirli in un grande flusso demografico di ripopolamento delle aree interne e di valorizzazione dell’agricoltura. Succede già nelle campagne d’Emilia  dove le produzioni di parmigiano reggiano sarebbero in crisi senza la presenza di indiani e pachistani. Nelle terre d’Italia, per secoli si è sviluppata un’agricoltura che ha reso ricche le  nostre tante città ed ha consentito il fiorire dell’artigianato, della mercatura, dell’arte. Ancora oggi quelle terre potrebbero accogliere e proteggere in forme nuove, la straordinaria biodiversità agricola del nostro paese .Nell’ attività del fare infine dovremmo riconoscerci come costruttori e assieme manutentori dei territori che abitiamo, dovremo avere come ci ricorda Massimo Venturi Ferriolo un comportamento etico.” Ethos, che in origine, aveva il significato di tana, stalla , luogo che l’uomo, in quanto costruttore, si era costruito per abitarvi. In questa attività incessante nell’ethos, nel luogo dell’abitare, ciascuno ha la propria parte, e questo è il nomos, che per noi significa la legge, la norma, la consuetudine che è diventata legge, ma in origine, per gli antichi greci, era il pascolo, cioè la parte che veniva attribuita a ciascuno nell’ethos per la propria sopravvivenza. Vi è quindi un rapporto di partecipazione, nel significato proprio di avere parte, cioè ogni uomo partecipa del proprio luogo, ha una responsabilità verso esso, che è quella che chiameremo responsabilità etica. Quindi non c’è etica senza luogo, cioè l’etica nasce dal luogo e con il luogo”.

 

 “…vorrei che mi fosse cara la campagna,/l’acqua che scorre nelle valli/e potessi con umiltà/amare le foreste, i fiumi./ Felice chi si avvicina al cuore delle cose/ e calpesta la paura d’ogni paura,/il fato inesorabile,/il frastuono ossessivo di Acheronte”.

 

Publio Virgilio Marone,

Georgiche, libri II, 490-492

 

 

 

< Nuova casella di testo >>